Disturbi di apprendimento verbale previsti dalla discriminazione uditiva

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 02 luglio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il “Volto delle Parole”: Wittgenstein apriva le sue ricerche filosofiche con una lunga citazione da Sant’Agostino che, implicando una teoria dell’apprendimento del significato, illustrava in maniera magistrale l’intimo rapporto fra cognizione e parola[1]. Tale stretta relazione è ancora più evidente alla luce degli studi più recenti che ci consentono di cominciare a delineare, nei processi evolutivi, un profilo funzionale che pone la parola al centro di eventi che vanno dalla percezione fonologica all’ideazione.

Infans è in latino colui che non parla; il bambino tanto piccolo da non aver ancora acquisito il patrimonio di memorie uditivo-verbali, di schemi procedurali esecutivi e di competenza linguistica che consente di comunicare nella lingua madre. Lo studio dei processi cognitivi dell’infante, in quella rapida evoluzione che lo porta all’acquisizione dell’abilità di comprendere le intenzioni degli adulti ed esprimere le proprie attraverso il mezzo linguistico, costituisce un campo di importanza crescente in seno alle neuroscienze cognitive. La stretta relazione fra eventi neurofunzionali che mediano la percezione e la comunicazione può consentire, grazie ad un’analisi qualitativa delle componenti elementari, di individuare precocemente alterazioni indicative della possibilità di sviluppo di disturbi del linguaggio.

È stato di recente dimostrato, in infanti con rischio familiare di alterazioni e disturbi dell’apprendimento del linguaggio (LLI, da language learning impairment), che l’abilità di discriminare fra due stimoli uditivi presentati in rapida successione e differenti nella frequenza fondamentale (RAP, da rapid auditory processing ability) è anomala ed indica quali saranno gli esiti nello sviluppo delle abilità verbali. Uno studio condotto da Cantiani e colleghi ha indagato per la prima volta le abilità RAP in bambini italiani a rischio di LLI (FH+), esaminando due elementi acustici di importanza critica: la frequenza e la durata, entrambe incluse in un ambiente acustico presentato rapidamente. Gli interessanti risultati sono stati paragonati a quanto osservato in bambini americani esposti all’ambiente acustico della lingua inglese (Cantiani C., et al. Auditory discrimination predicts linguistic outcome in Italian infants with and without familial risk for language learning impairment. Developmental Cognitive Neuroscience 20: 23-34, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Unità di Psicopatologia dell’Infanzia e Laboratorio di Bioingegneria, Istituto Scientifico IRCCS Eugenio Medea, Bosisio Parini, Lecco (Italia); Center for Molecular and Behavioral Neuroscience, Rutgers University (USA); Ramapo College of New Jersey, Mahawah, New Jersey (USA); Dipartimento di Elettronica, Informatica e Bioingegneria (DEIB), Politecnico di Milano, Milano (Italia); Center for Addiction and Mental Health, University of Toronto, Toronto (Canada).

Prima dell’introduzione di metodologie e tecniche di studio del cervello in funzione, grazie alle quali è stato possibile lo sviluppo della moderna neuroscienza cognitiva, pressoché tutto ciò che si conosceva sulle basi cerebrali del linguaggio derivava dall’applicazione del metodo anatomo-clinico in neurologia. Tale metodo prevedeva un accurato studio delle alterazioni del linguaggio dovute ad una patologia, la definizione di un profilo sintomatologico o di una sindrome neuropsicologica e, infine, l’esame necroscopico cerebrale in autopsia volto a stabilire la sede e l’estensione della lesione del cervello associata a quei sintomi. Il metodo, impiegato da Broca e Wernicke nel XIX secolo per l’identificazione dell’area motoria e dell’area recettiva del linguaggio, ha resistito fin quasi alla fine del XX secolo. La correlazione del quadro clinico con la lesione anatomopatologica macroscopica aveva rappresentato una svolta epocale per la conoscenza scientifica delle cause dei disturbi acquisiti del linguaggio, anche se non aveva alcuna utilità pratica in medicina, in quanto la diagnosi o la conferma diagnostica potevano avvenire solo post mortem e, a parte alcuni tentativi su base empirica e intuitiva di esercizio, non esistevano terapie per quei disturbi. La certezza, però, che il danno in una precisa sede corticale fosse responsabile di una data sindrome neuropsicologica, come nel caso dell’afasia motoria dovuta a lesione nell’area 44 di Brodmann e descritta alla Società Antropologica di Parigi da Paul Broca nel 1861[2] o nel caso dell’afasia recettiva causata da lesione in un’area della prima circonvoluzione temporale secondo la descrizione di Carl Wernicke del 1874[3], per la prima volta legava una facoltà psichica come quella della parola ad una topografia cerebrale. Tale aspetto è importante da sottolineare perché la descrizione sistematica dei disturbi della parola senza riferimento al cervello esisteva da tempo ed era patrimonio della semeiotica neurologica. Infatti, la descrizione sintomatologica delle alterazioni del linguaggio, contrariamente a quanto ritenuto oggi da molti, non è posteriore a questa epoca, ma si deve ai medici di epoche lontane, come si legge in un celebrato saggio di Henry Hécaen: “Si deve inoltre ammirare la perspicacia e il senso clinico dei medici della fine del Quattrocento e dei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Essi infatti dimostrarono la frequente associazione tra disturbi dell’espressione orale e disturbi dell’espressione scritta: descrissero le parafrasie, i neologismi sostituiti alle forme verbali attese; ammisero che i disturbi della parola potevano insorgere con un parziale mantenimento della comprensione verbale; constatarono che la lettura poteva essere disturbata senza che la scrittura lo fosse; differenziarono tali disordini da un più generale deficit intellettuale, affermando trattarsi di un disturbo unicamente della memoria verbale”[4].

Il nucleo culturale anatomo-clinico, secondo Alfonso Caramazza, ha contribuito sia a conferire una conoscenza di base della distribuzione delle funzioni del linguaggio nel cervello, sia a fornire elementi essenziali per lo sviluppo di teorie sull’elaborazione cerebrale della comunicazione verbale[5].

Una vera e propria rivoluzione conoscitiva si è avuta con la messa a punto di tecniche sofisticate e non invasive per lo studio dell’elaborazione verbale in neonati, lattanti e bambini ancora molto piccoli[6]. Questi metodi includono l’elettroencefalografia (EEG) per lo studio di potenziali correlati ad eventi (ERP, event-related potentials), la magnetoencefalografia (MEG), la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) e la spettroscopia del vicino infrarosso (NIRS, da near infrared spectroscopy).

Schematicamente:

1) la EEG/ERP studia variazioni del campo elettrico, presenta un’eccellente risoluzione temporale, consente studi in tutto l’arco della vita e comporta bassi costi;

2) la MEG registra variazioni del campo magnetico, presenta eccellente risoluzione spaziale e temporale, è impiegata negli adulti e in bambini piccoli, ma è costosa;

3) la fMRI si basa su variazioni emodinamiche, presenta eccellente risoluzione spaziale, impiegata negli adulti e in un limitato numero di studi su infanti, è estremamente sensibile al movimento ed è costosa;

4) la NIRS si basa su variazioni emodinamiche, ha una buona risoluzione spaziale, è impiegata in studi su bambini nei primi due anni di vita, è sensibile al movimento e ha costi moderati.

Gli ERP sono stati frequentemente usati per studiare l’elaborazione della parola e delle strutture linguistiche in lattanti e bambini in età precoce. Questi potenziali riflettono l’attività elettrica temporalmente associata alla presentazione di uno stimolo sensoriale, quali sillabe o parole, o a un processo cognitivo, quale il riconoscimento di una violazione del senso semantico all’interno di una frase. La MEG è un’altra possibilità di tracciare l’attività neuronica nel cervello, con una straordinaria possibilità di risoluzione temporale. I sensori SQUID posti all’interno del casco per MEG misurano i piccoli campi magnetici associati all’attività elettrica prodotta dal cervello durante l’esecuzione di compiti percettivi, motori e cognitivi. La risoluzione spaziale della fMRI è straordinaria, per questo è ormai da tempo il metodo di neuroimmagine standard nell’adulto per mappe funzionali ad alta risoluzione topografica, ma non ha lo stesso impiego nei bambini in quanto richiede assoluta immobilità. La risoluzione temporale della fMRI è il suo punto debole principale perché, misurando le variazioni dell’ossigenazione del sangue in risposta all’attivazione neuronica, rileva eventi che si sviluppano nell’arco di vari secondi, mentre l’ordine di grandezza dei singoli processi neuronici è quella dei millisecondi. Anche la NIRS misura risposte emodinamiche cerebrali in relazione all’attività neurale, ma impiega l’assorbimento della luce, sensibile alla concentrazione di emoglobina, per calcolare l’attività neuronica. La NIRS, come è facile intuire, non fornisce una buona risoluzione temporale, tuttavia presenta il vantaggio di poter essere associata ad EEG o MEG.

L’esposizione sia pur sintetica dei progressi compiuti nella conoscenza dell’elaborazione e dell’apprendimento del linguaggio con l’ausilio di queste metodiche esulerebbe dai limiti di questo scritto, ma è sufficiente tener conto che quasi tutte le conoscenze recenti sullo sviluppo delle funzioni connesse con la comunicazione verbale sono dovute alla sperimentazione condotta con questi nuovi strumenti.

Ritornando allo studio sui bambini italiani condotto da Cantiani, Benasich ed altri validi colleghi, sono state esaminate, come si è già accennato, la frequenza e la durata incluse in un ambiente acustico presentato rapidamente. Nell’osservazione sperimentale, è stato usato un paradigma standard (multi-feature oddball paradigm) per caratterizzare mediante EEG/ERP le abilità RAP di bambini italiani di 6 mesi di età, 24 FH+ e 32 FH- costituenti il gruppo di controllo. Le misure del risultato del vocabolario di espressione sono state effettuate all’età di 20 mesi.

L’analisi dei risultati ha consentito agli autori di rilevare differenze fra i gruppi a favore dei bambini FH-: nei bambini FH+ la latenza del picco N2* era ritardata e l’ampiezza della PMR (positive mismatch response) era ridotta, primariamente per la discriminazione di frequenza e all’interno dell’emisfero cerebrale di destra. Cantiani e colleghi hanno poi rilevato che entrambe le misure erano correlate con i punteggi nelle valutazioni del linguaggio effettuate quando i bambini avevano 20 mesi.

I risultati hanno dimostrato che le abilità RAP erano atipiche nei bambini italiani con un parente di primo grado affetto da LLI, e che queste anomalie sono riflesse nella successiva acquisizione di abilità/conoscenze linguistiche.

L’importanza di questi risultati sembra consistere soprattutto nell’aver fornito un’importante prova a sostegno dell’unità biologica dei disturbi dell’apprendimento del linguaggio, mediante una sostanziale identità fra i rilievi ottenuti nei bambini americani e quelli per la prima volta qui riportati nello studio di bambini italiani.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-02 luglio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Traiamo questo incipit da seminari su cognizione e linguaggio tenuti dal del nostro presidente e ai quali rimandiamo per i riferimenti bibliografici.

[2] Broca P., Perte de la parole, ramollissement chronique et destruction partielle du lobe antérieur gauche du cerveau. Bulletin de la Société d’Anthropologie II, 235-237, 1861.

[3] Wernicke C., Der aphasiche Symptomencomplex. Cohn & Weigert, Breslau 1874.

[4] Hécaen H., Storia dell’Afasia. KOS I (2): 118-127, 1984.

[5] Cfr. Caramazza A. Introduction (Language) in Michael S. Gazzaniga (editor-in-chief), The Cognitive Neurosciences, 4th edition, p. 765, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2009.

[6] Una parte non irrilevante l’hanno avuta anche gli adattamenti per l’uso nel lattante di metodiche già impiegate nell’adulto, basti pensare alla realizzazione della cuffietta geodesica (si vedano, ad esempio, gli studi di Stanislas Dehaene e colleghi) che ha consentito lo studio di potenziali legati a processi della coscienza, della parola e della cognizione.